Il territorio

L'HOSPITALE DI TEA

Il “locus hospitalis” di “Theura”, fu la trasformazione dell’antica stazione romana sulla Via Clodia Minor. Per diversi secoli fu stazione romana, ma quando l’Impero Romano decadde (476 d.C.) con l’arrivo dei barbari, tutto andò in abbandono e in sfacelo. Si persero perfino i tracciati delle tante vie romane.

Nel secolo VI e VII d.C., i monaci riattivarono le stationes romane, trasformandole in “locus hospitalis”, luogo di ospitalità, di accoglimento dei viandanti diretti a Roma, alla tomba dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, chiamati “Romei”.

Una lunga fila di pellegrini era diretta al Santuario di Compostela, in Galizia (Spagna), dove si venerava il corpo dell’apostolo maggiore, Giacomo, fratello di Giovanni il Battista e cugino di Gesù Cristo. Chi era diretto a Compostela, portava un lungo bastone ricurvo e una valva di grossa conchiglia appesa al petto, per attingere acqua da bere. Il bastone lo chiamavano “bordone”. Nell’ospitale il pellegrino riposava, veniva ristorato con i poveri cibi del tempo e riprendeva la via del pellegrinaggio. Sorgono così un’infinità di “locus hospitalis” lungo le vie romane, in parte riattivate, e sorgono sulle stazioni romane. I ponti in legno sui fiumi furono ripristinati e mantenuti efficienti da monaci “pontieri”.

IHospitale di Tea

Hospitale di Tea

Sorge a questo punto la domanda: chi sosteneva le spese dell’ospitale? I fedeli delle chiese limitrofe, con lasciti, livelli, generi alimentari ed altro. A proposito del “locus hospitalis” di Tea, vi è tutta una documentazione che ricorda le “oblazioni fidelium”, le offerte dei fedeli per l’ospitale di Tea. Nel 1298 la comunità di Pieve San Lorenzo, della cappella di Pugliano, della cappella di Muncano (Minucciano), e l’Ospitale di Tea, danno, fra tutti, venti “pisani” come offerta per la mensa capitolare del vescovo di Luni, Sarzana, il cosiddetto “caritativo” Nel 1299 Pieve San Lorenzo, la cappella di Pugliano, la cappella di Minucciano e l’Ospitale di Tea, danno una libbra e dodici soldi pisani piccoli. Nelle “decime” successive del 1303, non figura più l’Ospitale di Tea. Forse era decaduto, abbandonato e la venerazione del titolare e santo protettore, San Nicolao, fu trasferita alla vicina Metra. La figura di Nicolao è scolpita, in modo assai rudimentale, in una pietra arenaria murata nella facciata della chiesa. Tuttavia, nel 1470, l’Ospitale di Tea, paga alla mensa del vescovo di Sarzana, una piccola cifra di tre lire del tempo, come tutti gli altri ospitali della Diocesi di Sarzana, fra i quali quello di San Leonardo, sul fiume Frigido, Taverna Frigidi (Massa) e San Lazzaro di Filetto, Villafranca. La Via Clodia Minor è ancora frequentata: è l’unica via di comunicazione fra la Lunigiana e la Garfagnana.

Nel 1671, il venerabile Angelo Paoli di Argigliano (Casola), lascia il convento dei Padri Carmelitani, in Cerignano di Fivizzano, per recarsi a Roma dove è chiamato dai superiori. Parte accompagnato da un frate laico, percorrendo la Via Clodia Minor fino all’Ospitale di Tea, per scendere al paese nativo di Argigliano ed abbracciare i propri genitori. La toponomastica ci è d’aiuto: il corso attuale di Tea, fa pensare al “cursus” della Via Clodia, infatti, durante la costruzione della strada forestale da Tea al Rifugio del Pastore, affiorò un tratto di strada ben lastricata, con piantoni di arenaria: larghezza metri tre circa. Il terreno sul quale sorgeva il “locus hospitalis” di Tea è detto “prato tondo”, oppure di San Michele, di proprietà della parrocchia di Pieve San Lorenzo ed è stato venduto nel 1958 per £ 20.000. I ruderi dell’ospitale sono ancora ben visibili. Il Santo al quale era dedicato, San Nicolò di Bari, morto nel 347, è il santo per eccellenza e protettore dei pellegrini romei. A lui si raccomandavano i fedeli diretti a Roma, a Gerusalemme, a Santiago di Compostela: era il protettore della Via Francigena e della Clodia Minor.

Ricerca del Maestro Giovanni Martini, Pieve San Lorenzo 1906-2003
Hospitale di Tea

 

Hospitale di Tea Gli storici e gli archeologici sono partiti dai documenti per scoprire in mezzo ad un prato, dopo molto impegno e fatica, un importante edificio dell'epoca medioevale, del quale nessuna traccia era rimasta in superficie. In ogni valico stradale di solito si trovava un insediamento di soccorso al viandante e solitamente vi erano nuclei abitativi abbastanza vicini, lungo la stessa strada; invece nel caso di Tea il tratto più alto dell'antica strada mulattiera aveva qualche problema di percorrenza, soprattutto di inverno e da ciò ha tratto, forse, origine la necessità di creare un ospizio, nonostante gli abitanti di Giuncugnano e Regnano, nei due rispettivi versanti, fossero abbastanza vicini. Dopo aver individuato del fondazioni dell'edificio, gli scavi e gli studi dei reperti archeologici, utilizzando metodi scientifici, hanno permesso di ipotizzare con buona approssimazione gli spazi dell'ospedale, le loro funzioni e la vita quotidiana che si svolgeva nel loro interno durante l'anno. Il risultato a cui gli studiosi sono giunti è che le dimensioni e le opere murarie dell'edificio di Tea e le tracce della qualità della vita al suo interno, rapportate agli ospizi appenninici ed alpini, superano le caratteristiche di una strada medioevale di secondaria importanza.

Da "L'Ospitale di Tea e l'archeologia nelle strade della Valle del Serchio" a cura di Juan Antonio Quiros Castillo

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