Il Maestro Martini

COME VESTIVAMO FINO A AMEZZO SECOLO FA:

L’ABBIGLIAMENTO MASCHILE E FEMMINILE

 

 

Più che parlare di abbigliamento vero e proprio direi di un certo modo per riparare il corpo dai rigori del freddo.

 

I BIMBI appena nati venivano fasciati dai piedi alla testa con le mani stese lungo il corpo, per mezzo di una striscia di tela detta FASCIA PER NEONATI Lunghezza m.1,50 e larghezza cm 15/20. Il bimbo così conciato rassomigliava più ad una LARVA d’insetto che ad una creatura umana. Veniva cambiato due volte nelle 24 ore. L’effetto dell’orina e degli escrementi tormentava la povera creatura con bruciori ed ecco perché piangevano sempre. Le mamme non si curavano tanto del pianto dei neonati: era convinzione che il pianto allargava i polmoni e quindi era un bene.

 

Appena il bimbo muoveva i primi passi, indossava un abitino a SACCO, una specie di tonacella, tanto per i maschi che per le femmine.

Questo abito era molto comodo per i bisogni fisiologici dei piccoli.

Per la calzatura si ricorreva ad una specie di scarpetta fabbricata con fili di lana robusti: “GLI SCAPPINI”.

Altri adoperavano pezzetti di stoffa molto spessa, costruendo rudimentali “SARPETTE D’AVVIO” (vedi Pascoli in MYRICAE – Il morticino “Mamma ha filato sei notti e sei dì, sudato vegliato, per farti, oh, così, le scarpe d’avvio”)

 

Una calzatura bella e buona si fabbricava usando il “FELTRO” dei vecchi CAPPELLI. All’età di tre/quattro anni, si provvedeva agli “ZOCCOLI” di ontano. Questa calazatura, salubre, economica, lo accompagnerà tutta la vita.

All’età scolastica, sei, sette anni, la mamma tentava di cucire i primi calzoncini e le prime vestine, sempre a sacco, per le bimbe.

E’ doveroso notare che non esistevano le MUTANDE né per maschi, né per femmine; le quali portavano un abito lungo fino alle caviglie.

 

La mamma provvedeva a filare la lana di pecora per le “CAMICIUOLE” da portare “A CARNE” per tenere caldo il corpo. La camiciola era un supplizio per chi la indossava, essendo ruvida, rustica e pungente.

 

Le BRETELLE per i bimbi erano fatte con STRISCE di stoffa, incrociate nella schiena e fermate davanti con due bottoni. Molti calzoncini erano fatti come le “BRACHE” dei marinai, aperti sul davanti, fermati con due bottoncini, si chiudevano a guisa di sportello. Altri calzoncini avevano le BRACHE nella parte posteriore con due bottoni sui fianchi, come un comodo sportello in caso di bisogno.

 

Per copricapo, solo invernale, provvedeva la nonna, oppure la mamma. a costruire berretti di lana di forma conica, oppure in altre fogge.

 

Le scarpe per i maschi erano un sogno, un miraggio, solo all’età di 18 anni il giovane veniva condotto dal calzolaio, il quale provvedeva a fargli le prime scarpe.

 

Nei primi anni di vita, tutti portavano le scarpe “che mamma aveva fatto” e non mutavano mai.

Molti si facevano fare le scarpe per andare alla VISITA militare a CAMPORGIANO, a Massa (1926) e forse non fecero in tempo a finirle, perché partirono per la guerra e non tornarono più.

 

Non esistevano CAPPOTTI, impermeabili e altre diavolerie dei tempi moderni. Le CAMICIE erano di tela bianca di canapa, altri avevano camicie a quadretti piccoli, oppure a colori scozzesi.

 

Con l’avvento del fascio (1922) fu introdotto l’uso della camicia nera.

Le calze erano tutte di lana, sia per i maschi che per le femmine: colore nero, grigio, bianco.

 

La “CRAVATTA” era considerata un segno di “SNOBISMO” vero e proprio, mostrato dai SIGNORI OPPURE DAI MORTI DI FAME.

 

Molti uomini indossavano calzoni alla “ZUAVA” cioè piuttosto larghi, fermati al ginocchio con un bottone, oppure con una fettuccia, ricadenti in basso. La sottostante parte della gamba era coperta dai CALZETTONI di lana a vari colori-

 

Giovanni Martini, 6-8-1996

 

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Ultimo aggiornamento: 06-06-25