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Il Maestro Martini |
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La storia del baffardello o buffardello si riscontra in tutti i paesi della Lunigiana Orientale e dell’Alta Garfagnana.
La presenza è maggiormente marcata dove sorsero le prime comunità cristiane: le plebanie come la plebania di San Pietro de Sala a Piazza al Serchio(1), di Soliera(2), di Sorano, di Viano, di Codiponte, di Pieve di Offiano(3) (Castiglion della Ginestra), di San Paolo e di Pieve San Lorenzo(4).
Secondo gli antichi cabalisti, i baffardelli sarebbero geni soprannaturali, a volte invisibili, di piccolissima statura, astuti, di quando in quando anche dispettosi.
Abitavano nelle viscere della terra, a guardia dei tesori, delle gemme preziose e delle miniere dell’oro.
Esseri leggendari creati dalla mitologia dei popoli nordici.
La loro statura piccolissima e deforme nell’aspetto, creò le più svariate leggende specialmente durante il Medio Evo.
Il baffardello è spesso presentato, come un essere dispettoso che nottetempo, mentre i cavalli riposavano nelle stalle, o nelle numerose scuderie, intrecciava con sveltezza la criniera e la coda dei cavalli, in modo che, la mattina, lo stalliere aveva il suo da fare per sciogliere quei curiosi intrecci.
Per avvalorare la credulità della sua esistenza non mancavano i buontemponi, i fannulloni, i furbi, che, praticavano l’intreccio con i crini del cavallo facendo poi credere che era opera del baffardello.
Altri autori lo presentano come un omino cattivo, molto cattivo; infatti durante la notte, mentre i neonati dormivano nella culla, il baffardello si avvicinava e con la sua manina pelosa tentava di tappare la boccuccia del bambino e farlo morire per soffocamento. L’angelo custode però vegliava sul neonato ed il baffardello non riusciva nel suo atroce disegno perché aveva la palma dalla mano forata, cioè bucata.
Questa credenza era talmente radicata in Lunigiana ed in Garfagnana che le mamme cucivano agli indumenti dei neonati un breve (breu), un minuscolo sacchetto contenente pezzetti di candela benedetta, di foglie di olivo benedetto ed una medaglina con l’immagine della Madonna col Bambino Gesù.
I ragazzi erano così convinti dell’esistenza del baffardello che lo scrivente, all’età di otto anni non usciva di casa dopo il suono dell’Ave Maria.
Anche durante il giorno guardavo bene intorno se vedevo uscire l’omino dalla stalla.
Un giorno ero solo in casa, stavo scrivendo sul quaderno,
inginocchiato ad una cassa che era la mia scrivania, quando sentii aprire
l’uscio della capanna che immetteva in casa. Corsi a vedere e mi trovai
davanti una donnina piccina piccina e gobbetta, Per me era il baffardello, mi buttai ad afferrarla per il collo per difendermi. La
poveretta cominciò a chiamare aiuto ed allora capii: era la Pellegrina, una
nostra vicina di casa, che veniva da noi con il “paletto” in mano a cercare
due tizzoncini di fuoco per accenderlo a casa sua e non il baffardello!
Note:
Nome di origine longobarda indicante un resedio, cioè una residenza campestre ad uso di villa signorile dei nobili longobardi o dei vescovi.
Questa plebania figura già nell’anno 800, ma nell’anno 883 è ridotta ad una misera abitazione con capanna e terre annesse ed il complesso viene affidato dal Vescovo di Lucca Gherardo a Cunigondo, nobile longobardo, con l’obbligo di pagare, ogni annno, otto soldi d’argento al vescovo.
La Pebania de Sala è dedicata a San Pietro e figura nella bolla dei pontefici Eugenio III nell’anno 114 ed Innocenzo III nell’anno 1202, i quali conferiscono la Plebania ai vescovi di Luni per la giurisdizione spirituale, mentre per la giurisdizione civile al vescovo di Lucca.
La “Plebania de Sala” si estendeva come matrice di ben 30 chiese o cappelle situate nella Lunigiana Orientale e nell’Alta Garfagnana.
La plebania è dedicata a Santa Maria Assunta e figura già nell’anno 998
Anche questa pebania è una delle più antiche chiese battesimali della Diocesi di Luni, come da documento del Papa Innocenzo III nel 1149.
Dipendevano da questa plebania le chiese parrocchiali di Pognana, Verrucosa, Sassalbo, Arlia, Bottignana, Collegnago, Mommio, Turano e Po’.
E’ una costruzione imponente di pietra arenaria squadrata. Ha tre arcate che posano sopra robuste colonne di arenaria locale.
La navata centrale è più alta delle due laterali. La porta principale è rivolta a ponente: verso la Francia, come tutte le Pievi.
In un capitello sono effigiati gli emblemi dei quattro evangelisti.
In una pietra è scolpito un capriccioso emblema che rappresenta un serpente attorcigliato che tiene in bocca, afferrata per il dito medio, una mano di uomo aperta.
Il significato del simbolo? Nessuno ha dato una plausibile interpretazione.
L’antica plebania è al confine fra la Lunigiana Orientale e la Garfagnana. E’ dedicata al diacono San Lorenzo martire. I pontefici Eugenio III e Innocenzo III, negli anni 1149 e 1202 la confermarono ai vescovi di Luni, ma figura già nell’anno 1033 con Bugliatico, Novella e Cuccarello in un atto di donazione.
E’ costruita con pietre di arenaria ben lavorate. Ha tre navate con quella centrale rialzata ed una bellissima bifora.
La mensa è un monoblocco di macigno, rivolto verso i fedeli.
Dipendevano da questa chiesa- madre le chiese di Minucciano, di Agliano, di Castagnola, di Gramolazzo, di Pugliano, di Metra e l’Ospitale di Tea, sulla Via Clodia Nova (Aulla-Pallerone-Verrucola-Regnano-Teura-Cursus-Pradarena-Mutina).
Ultimo aggiornamento: 05-06-25