Il Maestro Martini

Ricerca etnografica sulle fontane, sugli abbeveratoi, sui lavatoi pubblici

 

Dagli statuti di Fivizzano, anno 1851

 

“Che non si possa lavar panni, ventri, o altre sportitie, nelle fontane, nelle pille, troghe o pozzi dov’è solito abbeverarsi le bestie.”

(Pag. 168- Statuti di Fivizzano di Pietro Tedeschi- Tipografia Conti)

 

La fontana secondo Giovanni Pascoli è il ritrovo, il salotto delle donne del paese, dove si parla di tutto e di tutti, anche del “maial che mangia e ingrassa”.

 

Dalla fontana l’acqua va nella pila, un vaso di pietra assai profondo, assai capace, che la raccoglie.

Da molti è chiamato anche truogolo, o trogolo.

 

Dalla pila l’acqua prosegue il suo cammino verso l’abbeveratoio per le mucche e per le bestie da soma: muli, asini, cavalli.

 

L’abbeveratoio per le pecore, per le capre, è molto più basso e più lungo.

 

In molti paesi, come Minucciano, Ugliano, Gorfigliano, Vagli, non è di pietra, oppure in muratura, ma è ricavato da un grosso e lungo tronco, pazientemente scavato e provvisto di scarico.

 

L’acqua prosegue poi nel “lavatoio per il risciacquo”.

Poi per il “lavatoio per la prima lavatura”.

Da questo ultimo fuoriesce per essere utilizzata ad annacquare gli orti.

 

Il primo lavatoio è severamente vietato usarlo per la prima lavatura.

 

Un cartello, mezzo sbiadito, avverte gli utenti del divieto e della multa nella quale incorrono i trasgressori.

 

Ogni lavatoio aveva, sul muretto, delle “copertine rigate trasversalmente” sulle quali le donne sbattevano, strusciavano e torcevano gli indumenti bagnati da lavare.

Era assolutamente vietato usare il primo lavatoio di primo acchito, poiché questo era destinato all’ultimo risciacquo.

 

Ogni paese aveva la sua fontana, il suo abbeveratoio, il suo lavatoio.

 

Alla manutenzione provvedevano gli abitanti del paese con le “giornate gratuite”.

 

Alcuni lavatoi erano coperti con una tettoia sorretta da pilastri in muratura.

 

L’abitato di Bugliatico aveva la sua fontana e l’acqua fuoriusciva da una “canaletta” scavata in una pietra arenaria.. Non vi erano tubi ed il percorso era costituito da un condotto di pietre laterali e sopra come una copertina.

 

Ogni anno scoppiava il tifo in paese e non mancavano i morti.

Il paese di Novella aveva ed ha ancora, sulla via di “Urì”, una grande vasca ricavata da una conca di pietra arenaria, che serve da abbeveratoio delle mucche e degli animali da soma..

 

Manca l’abbeveratoio per le pecore, poiché in questo paese non era usanza tenerle.

Dalla conca l’acqua prosegue per la vasca, ben murata, con il lavatoio di pietra.

Dal settore del risciacquo, passa a quello della prima lavatura e si disperde nei sottostanti terreni.

I lavatoi di pietra sono stati recentemente trafugati.

Nelle vicinanze dalla fontana vi è una grossa croce di legno, ad indicare il percorso della “rogazione” di Novella alla chiesina di San Frediano.

 

Il paese di Renzano non aveva né fontana, né abbeveratoio, né lavatoi, perché, nelle vicinanze del paese, non vi sono sorgenti da condurre nell’abitato.

Gli abitanti si servivano, per uso domestico, dell’acqua di un pozzo nelle vicinanze del paese.

Per abbeverare le mucche, gli animali da soma e per lavare i panni, usavano l’acqua del “canal dei margini” oppure del “fosso della Maolina”.

Per le donne era una durissima fatica, ma i tempi non offrivano nulla di meglio.

 

La frazione più fortunata era Pieve San Lorenzo, per la sua posizione lungo le rive del torrente Tassinaro.

L’acqua per uso domestico era attinta nel greto del torrente stesso, nel quale affioravano numerose polle, invase, tutt’intorno, da un prato verde di crescioni, una pianta acquatica che vive solo nelle acque sorgive e pulite.

 

Gli animali avevano l’acqua a volontà. Anche le pietre per lavare erano tante, disseminate lungo il corso dell’acqua.

 

La sorgente è condotta nel centro del paese antico, per mezzo di un condotto, cioè con una canala formata da un solco murato a secco ed una copertura fatta da un piastrone.

 

La fontana sgorga su una pietra scanalata, dove gli abitanti attingono l’acqua per gli usi domestici.

 

Poi scroscia nell’abbeveratoio, molto basso, per le pecore.

Prosegue poi verso un vaso più grande, il settore del risciacquo ed infine nell’ultimo settore per il “primo lavaggio”.

 

Da quest’ultimo al sottostante fosso, agli orti, nei mesi estivi, per annacquare la verdura.

 

La fontana, l’abbeveratoio ed i lavatoi, sono coperti da un’ampia tettoia.

 

La frazione di Corubbio era servita da una piccola sorgente con abbeveratoio e lavatoio con un solo comparto.

 

Più fortunata la frazione di Antognano, nella quale arrivava una ricca sorgente d’acqua.

 

Il condotto era costruito con mattoni, dall’”Azienda agraria”(fattoria Cesaretti), riforniva fontane, vasche, lavatoi ed abbeveratoi.

 

Il vicino paese di Pugliano usava una sorgente proveniente dalle vicinanze dell’attuale “Madonna” e, con un condotto, l’acqua era portata nelle vicinanze della “casa Cecchi”, sotto strada, dove erano costruiti un abbeveratoio ed un lavatoio a due comparti. non figura l’abbeveratoio basso per le pecore.

 

 

Nomenclatura locale

 

Fontana: getto d’acqua incanalata, continua, con vasca ed altre opere murarie. In alcune fontane è posta anche un’immagine sacra. Le maestaine.

 

Polla d’acqua: nel greto del torrente, dove allignavano, crescevano, i crescioni, una pianta acquatica, con foglie commestibili, tenere, da insalata.

 

Canala: voce locale della Lunigiana e della lucchesia, condotta.

 

Canaletta: pietra scavata per farci passare l’acqua della fontana.

 

Conca: oppure trogolo

 

Bozzo: voce molto comune che sta per indicare un piccolissimo lago.

 

Dagli statuti di Fivizzano, anno 1581

 

“Che non si possa lavar panni, ventri, o altre sportitie nelle fontane, nelle pille, troghe o pozzi, dov’è solito abbeverarsi le bestie.

 

Et perché il lavare dei panni, ventri ed altre sportitie, nel luogo dov’è solito abbeverarsi le bestie, suole, alle volte, apportare grandissimo danno, deliberarno che per l’advenire non sia lecito a persona alcuna lavar panni, ventri, o altre sportitie, nelle pille, troghe, o vero pozzi dov’è solito abbeverarsi le bestie sotto pena di soldi 40 per ciascuno, et ciascuna volta e il consolo della Terra di Fivizzano o Terre, sia tenuto ed obbligato sotto la medesima pena denuntiare li trasgressori al notaio del danno dato alla Corte di Fivizzano, d’applicarsi la stessa pena secondo l’altre, et amancando i consoli in fare detti rapporti siano condannati in lire tre per ciascuno e ciascuna volta come sopra.” (Pag. 168)

 

Giovanni Martini

 

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Ultimo aggiornamento: 07-06-25