Il Maestro Martini

RITI NUZIALI

Non è esagerato affermare che molti matrimoni venivano “combinati” dal padrone del podere al quale i due giovani appartenevano.

Era questione di interesse, il podere era tramandato da padre in figlio ed il proprietario era ben a conoscenza della “mitezza”, della soggezione, dei “nuovi servi della gleba”.

Altri matrimoni erano combinati perché la donna era figlia unica di un contadino, chi la sposava aveva l’avvenire, misero quanto si vuole, ma assicurato.

Alcuni matrimoni erano combinati dal padrone stesso, per coprire i suoi tristi “affetti”, e questo non deve meravigliarci, d’altronde è cosa saputa e risaputa che un certo “jus primae  noctis” è stato tacitamente accettato fino a pochi decenni or sono.

Gli altri matrimoni si celebravano senza tante feste e, soprattutto, senza tante spese inutili, come al giorno d’oggi.

I genitori della futura sposa preparavano, con grandi sacrifici, il “corredo” per la figlia, consistente in un certo numero di lenzuoli di canapa oppure di cotone, federe per guanciali, asciugamani, tovaglie e tovaglioli, coperte estive ed invernali, fazzoletti e, naturalmente, il corredo personale per lei.

Per lo sposo era previsto solo un piccolo corredo di lenzuoli e la biancheria personale.

Il matrimonio veniva annunciato a tutti in chiesa, per tre domeniche consecutive, affinché, se vi fossero stati degli “impedimenti”, i fedeli dovevano riferirlo al parroco, oppure al vescovo, sotto pena di un peccato mortale.

Per “impedimenti” si intendeva se uno dei contraenti era già sposato con altra persona vivente.

Il divorzio non figurava nella letteratura del tempo. Il matrimonio era inscindibile.

Tuttavia figurano rari casi di separazione. Il marito partiva per l’America e non si faceva più vivo.

Se uno dei contraenti era vedovo, oppure vedova, doveva sottostare ad un “balzello” verso i paesani e gli amici: offrire una damigiana di vino, un po’ di pane e companatico a tutti.

Diversamente veniva fatta la “scampanata” la vigilia del matrimonio.

La “scampanata” consisteva in un gran chiasso fatto con bidoni di latta, battuti e ribattuti, suoni di campanacci ed altri oggetti di metallo, battuti l’uno contro l’altro.

A molti suonavano anche il corno, soffiando con forza nella canna del fucile da caccia, per segno di disprezzo.

Il suono del corno era perciò proibito dalla legge e veniva suonato di notte.

Se offrivano quanto richiesto, tutto era messo a tacere e potevano sposarsi tranquillamente.

lo sposo e la sposa si recavano in chiesa alla seconda messa. Il sacerdote celebrava il matrimonio, che dal 1928 aveva effetti civili (Concordato fra Stato e Chiesa).

Prima del Concordato, fra la Santa Sede e lo Stato Italiano, con Mussolini capo del governo, gli sposi potevano contrarre matrimonio anche solo in chiesa e questo atto non aveva effetti civili. I figli venivano iscritti all’anagrafe a nome della madre.

Alle nozze si invitavano parenti ed amici.. Il pranzo era piuttosto semplice, con vino in abbondanza. Per l’occasione si uccidevano conigli e galline.

Verso il tramonto gli sposi partivano per la loro casa.

Gli invitati si salutavano e la festa era finita.

Gli sposi non si prendevano giorni di riposo. Il giorno dopo erano tranquillamente a lavorare nei campi, come se nulla fosse accaduto.

 

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Ultimo aggiornamento: 05-06-25