Il Maestro Martini

 

LE TERRE D'OLTRE GIOGO

Il concetto di “plebs” si allaccia all’età delle prime chiese ed il “plebanus”era al tempo stesso, il rettore delle anime del piviere ed il sindaco della popolazione stessa, il capo della comunità religiosa.

La ecclesia, la chiesa, serviva da sala comunicativa e da luogo di preghiera, mentre le campane avevano la doppia funzione: cantare la gloria di Dio ed avvertire in caso di pericolo oppure di calamità, ”ad gloriam et ad patriam liberationem”.

Dalla chiesa-madre”plebs sanctii Laurentii”, Pieve San Lorenzo, che figura nell’elenco delle decime per la Terra Santa dell’anno 1276, dipendevano varie ”cappelle”come:

-San Michele a Minucciano

-Santa Maria ad Agliano

-San Simone a Castagnola

-San Giusto a Gorfigliano

-San Bartolomeo a Gramolazzo

-San Iacopo a Pugliano

­-­­­l’hospedale di Tea, a Nord-Ovest dell’attuale Santuario del Monte Argegna, sulla via romana LUNI-AGUIA (Aulla), VERRUCOLA-TURLAC (Turlago), REGNANUM-TEURA-MUTINA (Modena)

LUNI – MUTINA

Questo “hospedale” è interessantissimo poiché è la trasformazione di una stazione romana nella quale l’amministrazione, la gestione, è però del tutto cambiata con l’evento del cristianesimo.

Via il gioco dei dadi, le donne e ogni piacere mondano; ma si pregherà, si lavorerà e poi si ripartirà “ad Mutinam”, verso Modena.

I ruderi di questo “luogo ospitale” sono ancora ben visibili.

Da reperti e dalla toponomastica siamo sicuri che questo fondovalle fu abitato da tribù liguri che vivevano in capanne fatte con intreccio di legno ed intonacate con terra argilla negli interstizi.

Capanne raggruppate in vices, vici, villaggi, in località isolate dette”castellari” oppure “castellieri”, facilmente difendibili.

Scavi eseguiti nel castellano di Pieve San Lorenzo, località Renzano, hanno dato ceramica ligure primitiva, fusarole, selci lavorate, punte di frecce, percussori, pietre focaie ed armille di bronzo. I Liguri non conoscevano ancora il ferro.

I castellari intorno a Pieve San Lorenzo sono tanti e successivamente furono trasformati in luoghi fortificati abitati, ma questa è storia di altri tempi, tempi più vicini a noi.

Sono a conoscenza di tutti i fatti delle guerre ligustiche, le varie deportazioni dei Ligur, i fino al completo dominio romano.

La chiesa, dedicata al diacono Lorenzo (anno 261), fu costruita intorno all’anno 1000.

Dall’anno 1033, una seconda notizia si ha nell’anno 1221, quando Pieve San Lorenzo, che ormai fa parte dei feudi dei Malaspina, viene ceduta ai subfeudatari di Gragnana, in Garfagnana e prenderà il nome di Pieve dei Gragnanesi (Plebs  Gragnanensium).

Ma nell’anno 1229 Pieve è aggregata al governo di Lucca.

I pontefici Innocenzo III ed Eugenio III, negli anni 1149 e 1202, confermarono la giurisdizione del vescovo di Luni su Pieve San Lorenzo (vedi ratio decimarum).

Fanno parte della  comunitas di Pieve i paesi limitrofi.

La Repubblica di Lucca, nell’anno 1369, con diploma del giorno 8 aprile, proclamò queste plaghe: terrae ultra jugum, terre oltre il “giogo”, o passo dei Carpinelli, con Gorfigliano, Pugliano, Tea, Sermezzana, Albiano, Antognano, Metra, Bergiola, Bugliatico, Novella, Gramolazzo, Agliano.

Castagnola, con Minucciano come“vicaria amministrativa”.

L’amministratore delle terre di oltre giogo, era un vicario, il quale aveva un solo scopo: inviare agli anziani di Lucca denaro (senza badare ai modi di estorcerlo e a chi lo estorceva).

Non mancarono le rivolte, tosto domate.

Nell’anno 1556, scoppiarono gravi disordini, poiché il parroco di Minucciano, non ottenendo la quota di farina di castagna per ogni “fuoco”, scomunicò tutta la comunitas, compreso Pieve San Lorenzo.

Una notizia l’abbiamo nel 1603, allorché il generale Bentivoglio di Modena, arrivando improvvisamente dal passo dell’Ospedaletto e da Tea, distrusse pari suolo Sermezzana e Novella, tagliando, inoltre, tutti gli alberi da frutto: olivi, viti, castagni e mettendo così alla fame un popolo già affamato.

Il Bentivoglio ordinò che fossero risparmiati i beni della chiesa.

Tentò di impossessarsi anche della rocca di Minucciano, ma non vi riuscì, perché fu accolto dagli spari delle colubrine, cannoni a canna lunga, usati a quei tempi.

La bella azione fatta dal Bentivoglio, generale degli  Estensi, era una rappresaglia sulla Repubblica di Lucca che aveva occupato Castiglione Garfagnana.

In queste “terre d’oltre giogo” venne allora inviato un contingente di 600 soldati, con lo scopo di proteggere la popolazione e risollevarne il morale.

La Repubblica inviava diverse grida o ordini, una di queste merita di essere ricordata.

Alcuni giovinastri di Gorfigliano, approfittando delle pastorelle che si recavano alle capanne per custodire le capre, le assalivano tentando di far loro violenza.Il fatto venne denunziato dal vicario agli anziani di Lucca che emisero le seguenti grida:

“A chi farà violenza a giovin donna, sia mozzata la mano destra.

 A chi farà violenza a giovin donna ed atterrerà...sia mozzata la testa”

 Tempi duri per i Don Giovanni!

 

   Le “decime”  

Fa meraviglia come una comunità religiosa come la “ Plebes Sancte Laurentii”, formata da forse 1000 anime, rispondesse con generosità alle tre decime proclamate dal Papa Bonifacio VIII.

Osserviamo:

Prima decima, anno 1293, pro sussidio al Regno di Sicilia, sotto Pietro III d’Aragona(Spagna), i pievarini inviarono 20 soldi di pisani, il valore attuale non è possibile calcolarlo.

Seconda decima, anno 1228, si raggranellano soldi 20 e 5 denari di pisani.

La terza decima  del 1301, non fu più abbondante delle precedenti, infatti, i questuanti, portarono via una libbra e dodici soldi di pisani piccoli.

Questo Papa Bonifacio VIII era davvero un buon cristiano!...

E fa bene Dante Alighieri a metterlo all’inferno, facendo dire al suo predecessore Papa Nicolò III degli Orsini:

“Se’ tu già costì ritto,  Se’ tu già costì ritto  Bonifacio?”

“Hai finito d’ingannare per arricchire e sei già all’inferno prima di morire?”

Ma tutto il mondo è paese e chi è innocente scagli la prima pietra.

“Tacco” il grande bandito maremmano allorché fu catturato dai gendarmi del Granduca Leopoldo di Toscana si difendeva dicendo: “Giuro, sulla mia anima, che non ho mai rubato una penna a un gatto.”

Considerate ”terre di oltre giogo”, cioè possedimenti fuori dalla Repubblica oppure dal Ducato, i lucchesi pensarono solo allo sfruttamento, alle gabelle, mantennero intenzionalmente il popolo, la

Plebe, nella più assoluta ignoranza, all’oscuro di tutto, per sfruttarlo meglio.

La mancanza assoluta di strade, di sentieri, che collegavano Pieve S.Lorenzo ad altri centri, costrinse sempre più i suoi abitanti all’isolamento.

Per sopravvivere si dettero alla coltivazione dell’olivo, della vite e dei cereali: grano,segale, farro.

In queste plaghe era ignorata la coltivazione della patata anche nel 1700/1800.

Per secoli uno spiraglio di luce fu l’insegnamento del  plebanus, del pievano, mentre nei paesi vicini, come Casola Lunigiana eFivizzano, per merito della famiglia dei Medici, vi erano già scuole pubbliche, dove i maschi imparavano a ”leggere, a scrivere e a fare di  conto”.

Vi erano scuole di artigianato: ferraioli, armaioli, falegnami, bottai, speziali, tipografi. E’notorio che in Fivizzano,nell’anno 1473 era già presente una stamperia ,una delle prime in Europa: la Stamperia Conti.

E’ curioso il fatto che alle ragazze venissero insegnate soltanto la filatura, la tessitura, il ricamo e la lettura sul salterium ,salterio ,un libro di salmi di chiesa, ma non la scrittura, perché, pensavano, che con quei segni potessero scrivere agli omini.

Sotto il Ducato di Firenze ogni piccolo borgo disponeva anche di una casa nella quale venivano raccolti i gettatelli, cioè i bimbi nati illegittimi, fuori dal matrimonio.

I monasteri di Casola (convento) e di Codiponte (convento), avevano la “ruota”, uno strumento di legno, a forma di credenza, girevole ,con un’apertura che, muovendosi intorno a un’asse, permetteva alle persone chiuse nel monastero o convento, di ricevere roba e gettatelli, dall’esterno, senza essere visti.

La ruota salvò tante povere creature da morte sicura, appena nate.

I gettatelli venivano allevati a spese della comunità fino all’età di sette, dieci anni ,poi erano affidati a contadini ed artigiani, per essere avviati al lavoro.

Ultima disgrazia per Pieve San Lorenzo, fu il fatto che, nell’anno 1840, il Granduca di Toscana Leopoldo II, volendo allacciare relazioni commerciali con Reggio Emilia fece progettare una via rotabile, attraverso il territorio delle terre di oltre giogo del Ducato di Lucca, Duca Carlo Lodovico di Borbone. Si arrivò a Piazza al Serchio superando mille difficoltà e qui la rotabile doveva proseguire verso la vicaria  di Minucciano e scendere poi a Pieve S.Lorenzo, ma gli amministratori del tempo, pensando che la rotabile apportasse miseria  alla loro miseria, vi si opposero a tal punto che i lavori furono fermati a San Michele (Piazza al Serchio,) e proseguirono poi per il Passo dei Carpinelli, tagliando fuori Gramolazzo, Gorfigliano, Minucciano e Pieve San Lorenzo.

Dovranno passare ben 107 anni, perché, solo allora (1947-1948) i pievarini ,dando la più bella lezione a chi ancora vuole ascoltarla, costruirono, con il proprio sudore, la strada  PIEVE SAN LORENZO-CASOLA, di 1800 metri.

Strada che, successivamente, fu ammodernata dall’amministrazione di Casola Lunigiana, essendo sindaco Augusto Ambrosi.

Nell’anno 1950 furono iniziati i lavori della strada MINUCCIANO-PIEVE SAN LORENZO, il secondo polmone verso il mare della Garfagnana, verso la Liguria, verso i cantieri industriali.

Il contributo dello stato, ottenuto tramite l’interessamento del sindaco Torre Tullio e dell’onorevole Biagioni Loris, fu di 120 milioni, più che sufficienti al compimento dell’opera. Ma la noncuranza, le contrarietà, i meschini interessi che si susseguirono, sabotarono a tal punto i lavori che, solo nel 1978, si poté dire la parola fine.

Occorsero circa trent’anni per costruire sei chilometri di strada! Si pensi che  la costruzione della via Vandelli-Modena-Massa durò dodici anni.

Ora che gli abitanti di Pieve hanno le strade, si sono costruiti accoglienti abitazioni ma sono sfiduciati di tutto e di tutti e la maggior parte di loro se n’è andata. Dove? A Genova, a Milano, a La Spezia, in America ed il paese mostra ,tra gli ulivi, delle belle case… chiuse.

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Ultimo aggiornamento: 05-06-25