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Il Maestro Martini |
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La lunga guerra
per seppellire i
morti, per il
furto del rusco,
per la “ruspa”
delle castagne,
per il “furto”
della neve sul
monte Pisanino,
negli anni
1500/1600
Il
“rusco” Il termine “rusco” è comunissimo nella parlata lucchese, come pure nella lingua italiana e sta ad indicare le foglie ed i ricci del castagno.
Il
rusco era un bene prezioso
perché serviva per “arruscare”,
cioè fare la lettiera alle
mucche, alle pecore, ai maiali,
ai muli, agli asini e ai
cavalli. Il rusco, raccolto nei castagneti con grosse scope costruite con rami di arbusti spinosi, con grandi rastrelli e robuste forche di legno, era sistemato nei capannotti già pronti, nel fondo della valle. I capannotti, o le capanne, con il tetto “a due acque”, coperto di paglia di grano o steli di “sorgo”, si vedevano ovunque. Il rusco, frutto di tanta fatica, qui immagazzinato e chiuso, durante l’inverno veniva via via portato alla stalla. Non era prudente immagazzinarne tanto nella stalla, poteva essere un’esca per gli incendi. Dal rusco mescolato con gli escrementi degli animali, si ricavava il vero concime ecologico del quale oggi si parla tanto ( ma con la testa nelle nuvole e l’unico miraggio fisso: il guadagno immediato). E’ bene osservare che già mezzo secolo fa sapevano che il rusco migliore, per la concimazione, non erano le foglie, perché contenevano una certa quantità di acido tannico, ma l’erica, la ginestra e l’incenso.
La “ruspa” La “ruspa” consisteva nel cercare attentamente, frugando ovunque, alla ricerca delle castagne rimaste alla fine della raccolta. Questa usanza, autorizzava i “poveri” del paese alla ricerca delle castagne dove i proprietari avevano fatto “appietto”, cioè avevano già attentamente raccolto tutto. “Fare appietto” è una locuzione della Lucchesia.
“Non un chicco, ch’è un chicco
era rimasto!
Avevano fatto le
formiche: appietto” Myricae G. Pascoli Per comprendere la controversia occorre risalire all’anno 1610. Questo fu l’anno della “crisi”. Il paese di Argigliano di Casola contava circa 200 “anime” ed era sotto il governo fiorentino, non aveva la chiesa e neppure il cimitero. I fedeli partecipavano alle funzioni nella chiesa “battesimale” di Pieve San Lorenzo, nel territorio di Lucca, nelle “terre di oltre giogo”. (Terre di oltre giogo, cioè paesi situati oltre il passo di Carpinelli, anno 1450) Anche i morti di Argigliano erano “insaccati e portati con la “bara” nel cimitero di Pieve. I fedeli di Argigliano dovevano passare dalla porta Sud. Il giorno 23 maggio 1610 scoppiò la guerra fra i due paesi. Da Argigliano avevano portato un morto, ma i Lucchesi avevano chiuso la chiesa e murato l’entrata nel cimitero. A nulla valsero le preghiere e le proteste. Il povero morto fu riportato ad Argigliano. Quale era la causa di tanto litigio? Gli abitanti di Argigliano avevano passato il torrente Pendarola, che divideva i Fiorentini dai Lucchesi, entrando nel territorio di Lucca a rubare il “rusco”e non solo , erano anche entrati nei territori lucchesi a “ruspare” le castagne dove, secondo l’accusa, ancora i proprietari non avevano “fatto appietto”. La lite si estese anche al Podestà di Ugliancaldo di Casola, perché alcuni fiorentini avevano varcato il fosso di Riocavo ed erano entrati nella “Tesa” a rubare il rusco e a ruspare le castagne “serotine”, che cadono a fine stagione, tardi, ma anche il ghiaccio e la neve! Il furto della neve restò un enigma. A che cosa poteva servire? Secondo il parere del professor Augusto Cesare Ambrosi il fatto fa pensare che anche in un altro paese dell’Alta Lunigiana, Sassalbo, era uso raccogliere con cura la neve per poi ammassarla in buche, oppure cunicoli, sottoterra, dove riporre generi alimentari deteriorabili, per conservarli fino all’estate ( le ghiacciaie di Sassalbo). La guerra fra i poveri durerà finché il sole splenderà sulle sciagure umane. Anche a Codiponte di Casola vi era un Podestà, che ebbe la fortuna di capitare in un paese ricco, perché il ponte in muratura sul fiume Aulella era una fonte di ricchezza. Per ogni animale da “soma”, muli, mule, asini e cavalli, carichi di forme di formaggio, di pelli secche arrotolate, dirette da Modena- Tea- Marciaso- Castelpoggio- Luni, pagavano il pedaggio di 20 lire ed al ritorno da Luni per Tea- Modena, questi animali carichi di sale, ferro, olio, erano soggetti alla stessa gabella. Un vecchio proverbio avverte:”L’occasione fa l’uomo ladro” Il Podestà di Codiponte una mattina non tornò nel suo palazzo con il notaio. I due furfanti erano fuggiti con la “cassa” del Comune e non solo, un venditore della Repubblica Aristocratica di Lucca, che vendeva il “pannetto”, aveva affidato il suo capitale di fiorini d’oro al Podestà per paura dei ladri, restò con le mani … piene di mosche. Il nostro “onorevole” del tempo era fuggito e vane furono tutte le ricerche. Il capo dei Podestà del “mandamento” di Fivizzano emise ordine di cattura, bandi e grida, tutto inutile. La storia è una grande ruota che gira… che gira…ma sempre per il solito verso! Anche nel 1500 non mancavano i “buontemponi” ed il Podestà lo chiamavano il “potta”, in senso spregiativo. Il Podestà di Argigliano prestò la sua opera gratuitamente, aveva alcuni terreni sui quali viveva e rinunziò anche all’assistenza, o collaborazione, del notaio che doveva essere pagato.
Le “nenie” Le “nenie”, o cantilene, offensive, oltraggiose e ingiuriose, furono, nell’anno 1836, la causa di un fatto che mi è stato più volte riferito. Canterellate dagli abitanti di Argigliano di Casola, che erano sotto il governo del Granduca di Toscana Leopoldo II fino al 1859, detti “fiurntin” e gli abitanti di Pieve San Lorenzo, che appartenevano al Ducato di Lucca (1859). Ai lucchesi era morto un miccio, un asino, e, naturalmente, la carne buona fu mangiata, ma restarono le zampe, la testa e gli ossi del povero animale. I “bontemponi”, sempre pronti allo scherzo, non mancavano. I “resti” dell’asino, nottetempo, li gettarono nell’unico pozzo dove i fiorntin, di Argigliano, attingevano l’acqua. Dopo alcuni giorni gli animali del paese non bevevano più quell’acqua che da anni avevano sempre bevuto. Nessuno riusciva a capire il perché. Un giorno la verità venne a galla. Nel pozzo c’era qualcosa di putrefatto. Con lunghe scale si calarono sul fondo e videro il “corpo del reato”. Pensarono subito che gli autori del “delitto” fossero i lucchesi. Bisognava fargliela pagare cara. Veniva in paese un giovanetto, a scuola dal parroco di Argigliano. Lo presero, gli legarono le mani dietro la schiena, gli misero l’osso di una zampa del miccio al collo e lo accompagnarono fino al “Bonosolo”, cioè nel territorio lucchese. Al fatto non seguirono altre controversie e forse riportò la sospirata pace fra Pieve San Lorenzo e Argigliano.
Argigliano: “fiurntin” Pievarini: “lucchesi”
“ I lucchesi igghian un micc,
nol podeun tnir dritt, iggh miser gli stecchi,(i puntelli) i lucchesi maledetti.”
“Fiurntin magna fagióli,
iggh spetteun gli
spagnóli,
Gli spagnóli non en
venuti, fiurntin furon fottuti” (imbrogliati, ingannati) Altri riferiscono:
“Fiurntin, baron sfottuti” ( bricconi imbrogliati dagli spagnoli) Il campo di battaglia era il greto, la “iara” del torrente Tassinaro, alla confluenza col torrente di Argigliano, dove le pietre non mancavano ed il corso d’acqua separava i gruppi contendenti.
“Ai cazzotti a mezza ia!”
Era questo il grido di guerra
che dava l’inizio alla battaglia
fra
lucchesi e
fiurntin. Dopo pochi minuti il greto del torrente Tassinaro brulicava di ragazzi avvinghiati l’uno all’altro e giù cazzotti, come se fossero carezze date dalla mamma! Finita la battaglia, tutti un po' malconci, tornavano alle proprie consuete occupazioni. |
Ultimo aggiornamento: 05-06-25