Immagini del centro storico
Immagini della Pieve
Il paese
Le tradizioni
Dati demografici
Il crocifisso ligneo
Il maestro Martini
Bergiola |
MEMORIA
STORICA
A Pieve S. Lorenzo la festa religiosa di S.Giuseppe è sempre stata
sentita dalla popolazione che, sino ad oggi, ha mantenuto la tradizione
culinaria delle frittelle, dolci e salate. Il 19 marzo del
1945, avrebbe potuto quindi essere uno dei tanti ricorrenti negli
anni, anche se la guerra, che ormai stava giungendo al termine,
aveva portato forti mutamenti e aggravato le già
precarie condizioni economiche. Nelle famiglie gli
uomini erano quasi tutti assenti perché richiamati nell’esercito, affiliati ai gruppi partigiani o nascosti in anfratti
sparsi nelle selve o in buie cantine, per evitare l’arresto dopo l’8
settembre 1943. C’era
bisogno del contributo di tutti, donne, anziani e bambini per
“tirare avanti”, sperando in un futuro migliore che sembrava
però, ancora lontano. La vita scorreva quindi tra grandi difficoltà
e sempre all’erta per i frequenti bombardamenti e i temuti
rastrellamenti dei tedeschi. Tutti sapevano che il ponte ferroviario
era uno dei possibili obbiettivi degli alleati per interrompere i
collegamenti ferroviari utilizzati per il trasporto delle armi e
munizioni accatastate nel vicino piazzale, anche se sulla loro
esistenza, a distanza di molti anni, vi sono pareri
contrastanti in merito. In questo contesto, il rumore del motore di
un aereo, anche lontano, era sempre motivo di allarme tra
la gente del paese che aveva predisposto rifugi di fortuna verso cui correre al minimo segno di
pericolo. Il rifugio
più sicuro e capiente era costituito dalla costruenda galleria del Lupacino
i cui imbocchi, quello principale e la finestra laterale
di scavo, erano molto vicini al centro abitato.
Quel pomeriggio, ricordano chiaramente i
numerosi testimoni, era una bella giornata di primavera, le
abitazioni del paese erano quasi tutte deserte poiché ferveva il
lavoro nei campi da arare per preparare per la semina e gli animali
domestici da seguire al pascolo. Quelli che che avevano già assolto i
propri compiti, si godevano il
caldo sole primaverile all’aperto nelle aie o nella piazza del
paese, dove alcuni ragazzi avevano organizzato una “partitella” di
palla al balzo,
gioco tradizionale del luogo che ancora oggi viene praticato.
Sembrava quindi una giornata “normale” che sarebbe trascorsa nella
consueta, precaria, tranquillità fino a
sera, quando, poco dopo le ore14.00, il temuto rombo degli aerei da
bombardamento irruppe prepotentemente nella valle. Tutti, come già
successo altre volte, corsero verso il rifugio più vicino:
la galleria del Lupacino o alcune cantine interrate, sperando di
sentirli allontanarsi velocemente. Quel giorno, invece, uno dei velivoli,
abbassandosi di quota, sganciò alcune
bombe. I testimoni riferiscono che furono almeno tre, una delle
quali colpì il centro del paese ed esplose con un boato che fu
sentito a chilometri di distanza, creando una nuvola enorme di
polvere che impedì per parecchi minuti, di individuare il luogo
preciso e l’entità dei danni a chi, anche nei dintorni, ne fu testimone
diretto. Ciascuno di loro immaginò con terrore e dolore, amici o
parenti vittime di quella terribile esplosione. Quando la nuvola di polvere si diradò,
tutti videro che la casa di
Domenico Martini, in località Vinacciara,
non esisteva più, al suo posto c’era solo un grande cratere e un cumulo di
macerie, mentre le case vicine erano praticamente intatte. Il
proprietario, dal paese di Antognano, sovrastante la valle,
dove si sera recato per cercare degli innesti, aveva
assistito alla scena e tutti ricordano la sua disperazione al
pensiero della moglie e dei figli che immaginava sepolti sotto alle
macerie. In quel momento naturalmente il danno economico appariva
del tutto insignificante. Fortunatamente, invece, sia la moglie Fabiola
che i figli, quelli allora presenti in famiglia, erano impegnati fuori
di casa, il minore, Ennio, nei campi.
A seguito di quella che fu considerata, oltre
che dalla famiglia Martini, da tutto il paese una grazia ricevuta
per essere tutti sopravvissuti ad un così terribile evento, undici
anni dopo, nel marzo 1956, Don Armenio Notari così scrive nel suo
diario: “Poiché il bombardamento aereo del 19 marzo 1945 non
aveva fatto vittime in parrocchia, mi ero obbligato con pubblica
promessa a comprare la statua di S. Giuseppe cui attribuimmo lo
scampato pericolo. Nel decennale dell’avvenimento, a scioglimento
della promessa abbiamo celebrata la festa del Santo portandone in
processione la nuova statua.”
N.d.R. Come documentazione dell’accaduto
sono stati trascritti i racconti raccolti dalla viva voce dei
testimoni.
BACK
HOME
|