Il m

 

29-07-25

 

 

 

Immagini del centro storico

Immagini della Pieve

 

Il paese

Le tradizioni

Dati demografici

Il crocifisso ligneo

Il maestro Martini

Bergiola

MEMORIA STORICA

A Pieve S. Lorenzo la festa religiosa di S.Giuseppe è sempre stata sentita dalla popolazione che, sino ad oggi, ha mantenuto la tradizione culinaria delle frittelle, dolci e salate. Il 19 marzo del 1945, avrebbe potuto quindi essere uno dei tanti ricorrenti negli anni, anche se la guerra, che ormai stava giungendo al termine, aveva portato forti mutamenti e aggravato le già precarie condizioni economiche. Nelle famiglie gli uomini erano quasi tutti  assenti perché richiamati nell’esercito, affiliati ai gruppi partigiani o nascosti in anfratti sparsi nelle selve o in buie cantine, per evitare l’arresto dopo l’8 settembre 1943. C’era bisogno del contributo di tutti, donne, anziani e bambini per “tirare avanti”, sperando in un futuro migliore che sembrava però, ancora  lontano. La vita scorreva quindi tra grandi difficoltà e sempre all’erta per i frequenti bombardamenti e i temuti rastrellamenti dei tedeschi. Tutti sapevano che il ponte ferroviario era uno dei possibili obbiettivi degli alleati per interrompere i collegamenti ferroviari utilizzati per il trasporto delle armi e munizioni accatastate nel vicino piazzale, anche se sulla loro esistenza, a distanza di molti anni, vi sono pareri contrastanti in merito. In questo contesto, il rumore del motore di un aereo, anche lontano, era sempre motivo di allarme tra la gente del paese che aveva predisposto rifugi di fortuna verso cui correre al minimo segno di pericolo. Il rifugio più sicuro e capiente era costituito dalla costruenda galleria del Lupacino i cui imbocchi, quello principale e la finestra laterale di scavo, erano molto vicini al centro abitato.

Quel pomeriggio, ricordano chiaramente i numerosi testimoni, era una bella giornata di primavera, le abitazioni del paese erano quasi tutte deserte poiché ferveva il lavoro nei campi da arare per preparare per la semina e gli animali domestici da seguire al pascolo. Quelli che che avevano già assolto i propri compiti, si godevano il caldo sole primaverile all’aperto nelle aie o nella piazza del paese, dove alcuni ragazzi avevano organizzato una “partitella” di palla al balzo, gioco tradizionale del luogo che ancora oggi viene praticato. Sembrava quindi una giornata “normale” che sarebbe trascorsa nella consueta, precaria, tranquillità fino a sera, quando, poco dopo le ore14.00, il temuto rombo degli aerei da bombardamento irruppe prepotentemente nella valle. Tutti, come già successo altre volte, corsero verso il rifugio più vicino: la galleria del Lupacino o alcune cantine interrate, sperando di sentirli allontanarsi velocemente. Quel giorno, invece, uno dei velivoli, abbassandosi di quota, sganciò alcune bombe. I testimoni riferiscono che furono almeno tre, una delle quali colpì il centro del paese ed esplose con un boato che fu sentito a chilometri di distanza, creando una nuvola enorme di polvere che impedì per parecchi minuti, di individuare il luogo preciso e l’entità dei danni a chi, anche nei dintorni, ne fu testimone diretto. Ciascuno di loro immaginò con terrore e dolore, amici o parenti vittime di quella terribile esplosione. Quando la nuvola di polvere si diradò, tutti videro che la casa di Domenico Martini, in località Vinacciara, non esisteva più, al suo posto c’era solo un grande cratere e un cumulo di macerie, mentre le case vicine erano praticamente intatte. Il proprietario, dal paese di Antognano, sovrastante la valle, dove si sera recato per cercare degli innesti, aveva assistito alla scena e tutti ricordano la sua disperazione al pensiero della moglie e dei figli che immaginava sepolti sotto alle macerie. In quel momento naturalmente il danno economico appariva del tutto insignificante. Fortunatamente, invece, sia la moglie Fabiola che i figli, quelli allora presenti in famiglia, erano impegnati fuori di casa, il minore, Ennio, nei campi.

A seguito di quella che fu considerata, oltre che dalla  famiglia Martini, da tutto il paese una grazia ricevuta per essere tutti sopravvissuti ad un così terribile evento, undici anni dopo, nel marzo 1956, Don Armenio Notari così scrive nel suo diario: “Poiché il bombardamento aereo del 19 marzo 1945 non aveva fatto vittime in parrocchia, mi ero obbligato con pubblica promessa a comprare la statua di S. Giuseppe cui attribuimmo lo scampato pericolo. Nel decennale dell’avvenimento, a scioglimento della promessa abbiamo celebrata la festa del Santo portandone in processione la nuova statua.

 

N.d.R. Come documentazione dell’accaduto sono stati trascritti i racconti raccolti dalla viva voce dei testimoni.

 

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Ultimo aggiornamento: 29-07-25